La paura del CORONAVIRUS
Il “caso” coronavirus sta contagiando anche la popolazione verso una psicosi collettiva o è solo timore? Risponde alle nostre domande la Dottoressa Maddalena Castelletti (Psicologa Clinica esperta in Neuro-biofeedback)
Dottoressa, premesse le indicazioni sanitarie ministeriali sulla corretta profilassi, perché -da un punto di vista psicologico- questa epidemia fa così paura?
Tutto ciò che sfugge al controllo fa molta paura, ancor più se si tratta di ambito sanitario.
Il desiderio di tutelare sé stessi e la propria comunità è più che legittimo e doveroso, ma le modalità in cui si cerca di mettere in atto tale scopo può variare lungo un continuum tra il corretto e l’insensato.
In che senso insensato? Quali sono le modalità corrette?
Le modalità corrette sono quelle che fanno riferimento all’esame di realtà ovvero nello specifico la presenza di situazioni a rischio (ad esempio accudire malati, lavorare in contesti sanitari, ecc) e la presenza di sintomi come descritto nelle linee guida nazionali ed internazionali.
È insensata l’ansia da contagio specie quando induce a pensieri ossessivi e al ritiro sociale.
Perché in questi casi si parla di “psicosi” da virus?
In ambito clinico la psicosi è proprio la condizione in cui viene a mancare la fondatezza fattuale dei pensieri e quindi un legame tra pensieri, emozioni e stato di realtà.
Il termine “psicosi da virus” fa quindi riferimento a tutte quelle paure che travalicano la dimensione reale del problema e si estendono in modo pervasivo alla propria vita.
Ci può fare alcuni esempi?
Ad esempio temere di uscire di casa, avere pensieri continui e indesiderati riguardo alla malattia nei suoi vari aspetti o ancora stigmatizzare gruppi di persone o etnie ritenendoli pericolosi.
Insomma, più in generale, imporsi limitazioni e condotte non necessarie perché pervasi dall’ansia di malattia.
A livello di aspetti psicologici ci sono persone più a rischio?
Le persone con pregressa diagnosi di disturbo d’ansia o con funzionamento a tendenza ansiosa sono più esposte alle conseguenze psicologiche legate alla psicosi da virus.
Ovviamente non rischiano di contrarre il coronavirus maggiorenne di altri, ma possono sperimentare una condizione di forte ansia, di deflessione dell’umore e di panico.
Ha senso in questo caso un colloquio con lo psicologo?
Una visita psicologica ha senso tutte le volte in cui si sperimenta un disagio che influisce sulla qualità della propria vita. Eventi esterni, come la notizia di un’epidemia o di una qualsiasi situazione di rischio, possono aggravare una condizione preesistente.
Se si prova un forte disagio è corretto fare accesso ad un servizio psicologico che può avvenire in una struttura o in remoto grazie ai numerosi servizi di consulenza on line oggi disponibili.
Si invita la popolazione ad informarsi anche su questi aspetti consultando il sito dell’Ordine www.opl.it o il portale psymap www.psymap.it
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